Tesi: Violenza contro le donne: dalle origini, alla cultura della violenza e alla responsabilità maschile

Paolo Troilo

Sempre più frequentemente l’Associazione LUI viene contattata da laureandi, laureande, che stanno formulando la loro tesi, per intervistarci su alcuni temi che trattiamo all’interno dell’Associazione.

E’ un’esperienza che ci gratifica molto, che ci fa molto piacere  per diversi motivi:

  • ci fa sperare in un mondo migliore, in chi ci contatta;
  • i lavori che vengono realizzati sono molto interessanti;
  • anche in Italia si lavora sul maschile, adottando una visione di genere.

 

Come Associazione abbiamo quindi pensato, cosa buona e giusta, rendere merito ai laureandi, alle laureande che ci contattano chiedendo loro, se lo desiderano, una volta terminato il loro elaborato, previa autorizzazione  pubblicare online le loro tesi.

Questo per dare loro una vetrina, rendere omaggio al loro sforzo ma anche per iniziare a costruire un archivio aggiornato dei lavori che vengono realizzati sul maschile.

Pertanto in questo articolo trovate la tesi della Dott.ssa Silvia Ruffaldi, la quale la ringraziamo per aver pensato a noi e a cui facciamo in nostri migliori auguri di buon lavoro.

Abstract: Violenza contro le donne: dalle origini, alla cultura della violenza e alla responsabilità maschile

Il fatto che la violenza di genere riguardi soprattutto gli uomini che la agiscono, e non le donne che la subiscono, è una consapevolezza che abbiamo acquisito di recente, e lo si può constatare anche dalla più alta propensione pubblica a denunciare casi di questo genere rispetto al passato (anche se ciò avviene soprattutto nei casi di violenza più brutali).

Ma è anche vero che ad oggi sono ancora tante le persone che considerano i comportamenti violenti delle patologie, derivanti da condizionamenti psicologici o effetto di marginalità sociale, che interessano solo certi uomini, diversi rispetto alla maggioranza.

Così come i casi di femicidi siano solo eventi molto gravi ma isolati, rispetto alla maggioranza.

I mass media in questo senso, continuano ad avere un ruolo centrale nel diffondere una corretta informazione sul tema: sia quando parlano di “troppo amore”, quasi a voler giustificare certi casi particolarmente efferati, sia quando usano toni sensazionalistici.

Descrizioni che supportano una visione prettamente emergenziale del fenomeno.

Eppure i vari programmi televisivi che trattano il problema, svolgono un grande lavoro di sensibilizzazione verso il pubblico a casa, anche se talvolta gli eventi e le immagini mostrate sono discutibili, sottolineando che la radice del problema sia la cultura maschile del possesso, e incoraggiando una ferma condanna sociale dei comportamenti violenti.

Ma ciò che continuano a ribadire le associazioni femministe e i Centri Antiviolenza già da parecchio tempo, è che il fenomeno della violenza di genere, nella nostra società, è strutturale e non emergenziale.

E questo è un fatto constatato anche dalla seconda indagine nazionale sulla violenza promossa dall’Istat e dal Dipartimento per le Pari Opportunità nel 2016: a fronte di un numero sempre più elevato di donne che lamentano di essere state vittime di una qualche forma di violenza nel corso della vita (6 milioni 788.000, pari al 31,5%), le istituzioni dovrebbero aumentare azioni di prevenzione per modificare modelli culturali, rappresentazioni della virilità e pratica delle relazioni libere da concezioni di superiorità /inferiorità fra i generi.

Ed è anche quanto affermano, ripetutamente, le numerose associazioni maschili, istituite da uomini con la volontà di mettere in discussione i modelli di virilità che la società gli attribuisce.

L’insistenza proveniente da più parti nel voler promuovere un cambiamento culturale, così come l’impegno di tanti insegnanti ed educatori nell’organizzare progetti educativi sul tema, è un segnale positivo che significa che le cose stanno cambiando: l’attenzione si sta spostando sulla responsabilità maschile.

Così come a livello europeo, la Convenzione di Istanbul ha fatto grandi passi avanti nel contrasto alla violenza, in particolare promuovendo un piano di azioni basato su quattro P: Prevenzione, Protezione (delle vittime), Punizione e Politiche integrate.

Da più parti, insomma, si sta diffondendo l’idea che la “questione maschile” e “la questione della libertà femminile” necessitino sempre più di interventi educativi di prevenzione, al fine di sradicare i modelli tradizionali che definiscono i generi in modo univoco, le aspettative rispetto alla concezione di maschile e femminile, e riguardo ai comportamenti di molti uomini ma anche di alcune donne.

La prevenzione risulta essere fondamentale anche per quei trattamenti posti in essere dagli enti nati per aiutare gli autori di violenza: uomini che intraprendono un percorso di cambiamento per cessare il proprio comportamento aggressivo e possessivo nei confronti di moglie e figli.

Anche i Centri dedicati agli autori di violenza hanno, tra gli obiettivi primari, la sicurezza delle donne, e lavorano per prevenire il ripresentarsi di comportamenti  aggressivi che possano minacciare la vita dei familiari.

Allo stesso tempo, i trattamenti di questi centri, hanno il fine di modificare e mettere in discussione i modelli di potere e possesso associati alla maschilità, modelli che permeano in maniera profonda la società e le nostre relazioni.

Tuttavia, in Italia, i centri per uomini maltrattanti rimangono uno strumento marginale di contrasto alla violenza, frutto dell’iniziativa di alcune realtà locali di cui abbiamo già parlato.

E pur essendo state disposte linee guida generali valide per tutto il territorio nazionale, manca ancora un impegno politico per creare un punto di riferimento istituzionale per tutti i nuovi centri che sorgeranno.

È questo uno dei motivi per cui ad oggi, la presenza dei Centri sul nostro territorio, non è ben bilanciata ( la maggioranza dei centri si trova al Nord rispetto al Sud), sebbene negli ultimi anni siano sorte diverse realtà preposte all’aiuto e al sostegno di uomini autori di violenza, soprattutto in alcune zone del Sud che un tempo ne erano sprovviste.

Non sempre poi, i Centri dedicati agli autori di violenza sono percepiti in maniera “corretta”, anzi, esiste una certa diffidenza se non rifiuto nei loro confronti: molte volte vengono visti come dei contendenti per le risorse, già scarse, dei Centri Antiviolenza, e spesso manca la volontà di confrontarsi vicendevolmente con le diverse esperienze e conoscenze sullo stesso tema della violenza di genere.

Inoltre, alcuni sostengono il rischio che il percorso intrapreso dall’uomo possa in qualche modo interferire negativamente con la presa di coscienza e di autonomia che la donna ha faticosamente guadagnato.

Oggi permane il problema del confronto fra coloro che, nei due ambiti, si occupano della violenza maschile: ciò va considerato alla luce dei differenti natali e della diversa storia dei Centri per le donne e di quelli per gli uomini.

Non va dimenticato, infatti, che i Centri Antiviolenza e i Centri per gli autori di violenza, nascono da percorsi culturali e politici differenti: mentre i primi sono sorti a seguito dei movimenti femministi che per primi hanno portato alla luce il problema, rivelando al mondo la violenza nei comportamenti quotidiani e promuovendo un percorso politico volto a conquistare l’autonomia femminile; mentre i Centri rivolti agli uomini, hanno dei percorsi e delle motivazioni differenti: comprendono sia chi si sente responsabile in quanto maschio dell’agire violento di altri uomini, sia chi proviene da professioni e servizi che non c’entrano niente col tema.

È necessario quindi un continuo lavoro di confronto, formazione comune e incontri tra le due realtà.

Rimane, ad ogni modo, la necessità di ribadire che la focalizzazione sulla responsabilità maschile ha un senso solo se è considera alla luce di un disegno più grande, che mantenga al centro il contrasto alla violenza sulle donne e dunque la tutela della libertà femminile, tutela che alcune logiche patriarcali, tentano ancora di ostacolare. Oltre a ciò, è bene sottolineare che anche la migliore cornice istituzionale non serve a molto se non è accompagnata da un cambiamento culturale che riguardi anche i cittadini e le relazioni fra i sessi.

Ho scelto questo tema mossa dalla curiosità e dal desiderio di andare più in profondità rispetto a questo tematica, purtroppo ancora molto attuale, per capire cosa si cela dietro alla violenza maschile e alle sue origini.

Da quel che ho potuto constatare una soluzione valida e chiara per tutti, ancora non esiste, ma al di là delle leggi che verranno emanate e al di là dei discorsi sulle diverse attività svolte dai Centri per le donne e dei Centri per gli uomini, credo sia necessario uno sforzo da parte di tutti, come attività di prevenzione, per mettere in discussione i modelli tradizionali legati al genere e comprendere che le relazioni fra i due sessi si sono sempre basate su una disparità,  per troppo tempo considerata “naturale”: quella che vuole l’uomo esercitare il potere e la donna sottostare alle sue decisioni.

Come bisognerebbe imparare a smascherare i pregiudizi e gli stereotipi della comunicazione mass mediatica e anche nelle relazioni quotidiane, cercando di non assecondare le forme di “vittimizzazione secondaria”: se assistiamo ad un caso di stupro, sarebbe bene sforzarci di non giudicare i comportamenti,  più o meno “sbagliati”, della vittima, non focalizzarci sugli abiti da lei indossati e i luoghi che frequentava.

Promuovere fin dall’infanzia un’educazione sessuale più improntata al rispetto, per sostenere un’idea di parità di diritti e doveri, nelle menti dei più giovani.

Insegnare che la gelosia e il possesso nelle relazioni intime non sono la regola, e che il rispetto e la libertà di entrambi i partner sono imprescindibili. Oltre a ciò, insegnare che la pornografia, non va considerata come modello di apprendimento da cui prendere esempio per le relazioni intime.

Cercare di non stigmatizzare chi agisce violenza ( “Il mostro da prima pagina”), ma nemmeno giustificare le sue azioni come frutto di eventi che esulano dalla sua volontà (“L’ha uccisa perché era geloso di lei”).

Guardare con scetticismo chi utilizza determinate parole per descrivere condotte criminali premeditate da tempo; così come le campagne di sensibilizzazione che tendono a minimizzare la responsabilità maschile non mostrando il volto del maltrattante.

Inoltre, non considerare la violenza una prerogativa delle classi sociali meno abbienti o di certe culture ( o religioni) molto lontane dalle nostre: in quanto essa si manifesta in modi diversi in tutte le culture, solo che in alcune assume forme più nascoste, mentre in altre, ha forme più evidenti.

Comprendere che la violenza, talvolta, può essere usata dall’uomo per mascherare delle mancanze, che hanno origine dalle aspettative che la società ha sempre riposto in lui: quella di uomo virile, che non può permettersi di perdere, mostrarsi debole o esprimere i propri sentimenti, pena l’esclusione dalla cerchia dei “veri uomini”.

Da qui l’origine dell’incapacità maschile di nominare le emozioni e le loro infinite sfaccettature, e sempre da qui il bisogno di usare la forza per imporre le proprie ragioni, unico mezzo per continuare ad esercitare potere.

Per concludere, bisognerebbe considerare che gran parte del problema risiede, oltre che nella carenza di leggi adeguate, in un’incapacità dell’uomo di fare i conti con una richiesta di autodeterminazione femminile sempre più impellente.

Per cui, se il cambiamento culturale e sociale non avverrà, sarà difficile che il fenomeno della violenza di genere cessi di esistere.

Immagine: Paolo Troilo

I capitolo Tesi – Copia

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