Lavorare con gli uomini autori di comportamenti violenti: il contributo di LUI
Prefazione
Questo testo è un contributo al dibattito nazionale sul tema dei Programmi di carattere preventivo e di trattamento per “uomini che hanno agito violenza di genere nelle proprie relazioni intrafamiliari”. (Testo letto all’incontro nazionale, meglio specificato in calce, dal titolo “Attraversare la violenza” tenutosi a Roma il 19 maggio 2017, ndr).
Non si tratta di una dissertazione completa, bensì di un tentativo di chiarezza su alcuni punti cardine che riteniamo essenziali nell’approccio alla tematica. Non è neanche la presentazione del nostro metodo di lavoro livornese con gli uomini autori di violenza di genere, semmai è “l’humus” nel quale quest’ultimo si è formato nel tempo. E’ un’occasione di riflessione culturale, preliminare all’operatività. Con la certezza che le esperienze italiane sull’argomento siano davvero troppo contemporanee per ritenerle totalmente esaustive.
Livorno, aprile 2017.
Gli autori.
Nessun fattore, da solo, appare in grado di chiarire il motivo per il quale alcune persone si comportino in modo violento, così come esposto in altro tema da Urie Bronfenbrenner. Mutuando il Modello Ecologico da questi teorizzato – infatti – potremmo dire che la violenza è il risultato di una interazione tra più fattori. A nostro avviso questo tipo di approccio dovrebbe essere adottato anche nel lavoro di contrasto alla violenza maschile sulle donne.
Per chiarire meglio il “concetto della multifattorialità”, ci pare utile paragonarlo alla struttura di una Matrioska russa, in cui la bambola più piccola (detta seme) rappresenta l’autore di comportamenti violenti, mentre le bambole più grandi rappresentano – rispettivamente – la relazione di coppia, la famiglia affettiva, la comunità e la cultura di riferimento. Intervenire su una sola di queste Matrioske risulta inefficace e sterile: è necessario adoperarsi contemporaneamente su tutte le dimensioni ed i livelli coinvolti. E’ per questo motivo che associazione LUI ha scelto consapevolmente di intervenire sul tema del lavoro con gli uomini autori di violenza con una modalità multi-livello, non relegando gli interventi operativi ad un mero servizio a sé stante. L’esempio della Matrioska appena citato potrebbe, a nostro avviso, essere utile anche per orientare gli operatori/operatrici (di seguito operator*) dei Programmi di fuoriuscita dai comportamenti violenti. Allo stesso modo del maltrattante, infatti, chi cerca di facilitare il cambiamento altrui dovrebbe tener di conto dei propri livelli sovrastrutturali predetti, permettendo agli operator* di non sertirsi estranei dalla problematica, bensì anch’ess* parte di un problema ben più grande della singola persona, così fortemente radicato nella nostra cultura di appartenenza.
RICERCA E AZIONE
Per attualizzare quanto finora espresso, noi di LUI, riteniamo essenziale (e propedeutico) che gli operator* che desiderano avvicinarsi al tema in parola lo facciano tramite un proprio percorso di ricerca-azione. La genesi di associazione LUI – per esempio – è basata sulla condivisione dei vissuti degli uomini a prescindere dal servizio ad hoc che offriamo in tema di violenza maschile (chiamato PUM: acronimo di Programma Uomini Maltrattanti, ndr), prevedendo una costante dimensione condivisiva (chiamata “Gruppo di condivisione maschile”, ndr) che possa elaborare cambiamenti sociali. Tutte le attività, tutte le politiche ed i servizi che attuiamo hanno come centro gravitazionale la condivisione maschile, ovvero: so-stare insieme verso nuove consapevolezze e nuovi desideri maschili. A nostro avviso anche i facilitatori (rectius, operator*) dei Programmi per uomini maltrattanti non dovrebbero sentirsi esentati dal frequentare spazi laboratoriali culturali a causa di una qualsiasi competenza professionale di provenienza. Il proliferare, in pochissimi anni, di così tanti sedicenti “Centri per uomini maltrattanti” è un serio indicatore di come molt* si avventurino sul tema probabilmente senza aver attuato la suddetta premessa di ricerca-azione culturale. Tale modus operandi, oltre a poter nuocere all’operator*, rischia di minare alla base l’intero sistema del percorso svolto dall’utente.
Si parla spesso di un cambiamento culturale per contrastare la violenza, ma cosa significa in realtà cambiare la cultura?
La cultura non è un fattore estraneo alla nostra persona, anzi, è totalmente parte di noi, a prescindere dalle nostre conoscenze teoriche. Per questo cambiare la cultura significa cambiare il nostro modo di pensare-agire, in primis come persone, poi (eventualmente), come agenti del cambiamento altrui. Cambiare, con una consapevolezza ed una conoscenza che permetta di rintracciare stereotipi, credenze, semplificazioni, schemi e ruoli nascosti nelle pieghe profonde della società e delle nostre singole vite, così radicati nel nostro modo di essere da risultare quasi invisibili. La “rivoluzione copernicana” non sta, dunque, nel fatto che due o più professionisti si mettano insieme per “lavorare” con gli abuser, quanto piuttosto che due o più persone si mettano insieme per tentare un cambiamento culturale di genere che da personale si renda politico e che – solo eventualmente – sfoci anche in un servizio integrato specialistico in favore di terze persone.
LA INTERDISCIPLINARIETA’
Sulla base di quanto sopra, ben si comprende come il tema trattato riguardi discipline e saperi diversi che, però, dovrebbero accogliere e valorizzare vicendevolmente le singole specificità verso un fine comune. In tal senso è importante – ma non condicio sine qua non – la professione di provenienza degli operator*. Prendiamo atto dalle più recenti ricerche italiane sul settore (cfr. LeNove, Il lato oscuro degli uomini, CRS – Ediesse, aggiornamento 2017) che i “professionisti delle mente” risultano essere i più interessati al tema ma che ad essi si affiancano anche altre professionalità e saperi, seppur in numero decisamente minore. Questo dato di “prevalenza professionale” dovrebbe essere inteso solamente come uno “stato dell’arte” contemporaneo e non come una tendenza auspicabile o, peggio ancora, ineluttabile. La nostra visione sul tema ci orienta verso la realizzazione di una “tela” di rapporti di complementarietà, di integrazione e di interazione per cui discipline diverse convergono in principi comuni sia nel metodo della ricerca sia nell’ambito della costruzione teorica ed operativa. Noi, per esempio, professionalmente siamo uno psicoterapeuta ed un avvocato e portiamo con noi i nostri saperi, le nostre esperienze e le nostre peculiarità, senza però riproporli sic et simpliciter nel lavoro coi maltrattanti. Ecco perché anche un letterato, un barman, una musicista, una parrucchiera, etc., potrebbero essere risorse nel ruolo di operator*, se adeguatamente motivati e formati su temi trattandi, poiché ognun* porterebbe una differente sensibilità e un differente sguardo.
Sul piano soggettivo, gli operator* dei Programmi per uomini autori di comportamenti violenti dovrebbero quindi assumere un atteggiamento intellettuale e di ricerca concettuale, teso non alla mera applicazione degli strumenti professionali di provenienza, bensì teso alla formulazione di un “sapere nuovo”, che accolga e valorizzi la molteplicità e varietà delle conoscenze acquisite nella storia delle culture e delle civiltà, ed anche del progresso dei saperi scientifici. La professionalità di partenza è solo un valore aggiunto che rende unico e ricco il servizio offerto. Chiunque può fare la propria parte, purché sensibilizzato, formato sul tema attraverso una ricerca-azione ed una successiva formazione specialistica. Senza mai tralasciare l’importanza della reale capacità del singolo di cimentarsi in un lavoro tanto complesso. Stiamo parlando di un sistema che riproponga l’esperienza dei Centri Antiviolenza femminili in tema di operatrici interne, ovvero, soggetti che attivino la trasformazione culturale e che intervengano sulle dinamiche strutturali della violenza maschile sulle donne. Un percorso a partire dalle storie dei singoli, dai desideri di discontinuità dai comportamenti lesivi, costruendo una pratica politica di cambiamento che diventi “normalità” nella lettura sociale e nello storytelling.
Mutuando la preziosa esperienza dei Centri Antiviolenza, si auspica che nei Centri per uomini maltrattanti operi personale che sia politicamente, culturalmente ed operativamente formato, a prescindere dal profilo professionale posseduto, dove vengano valorizzati i saperi e le capacità, più che i titoli. Detto questo, “saper-fare” non sempre coincide con “fare-sapendo”, ergo, non basta un breve corso formativo per sentirci pronti e consapevoli di agire il cambiamento. E’ questo, a nostro avviso, il discrimine: la tipologia di visione più complessiva sul tema della violenza di genere ed il successivo discernimento personale. Ben vengano differenti modi per affrontare lo stesso tema, sebbene vi sia necessità della condivisione del caposaldo culturale anzidetto. Si può essere ottimi professionisti e, al contempo, pessimi operatori o viceversa.
LE RETI
Indubbiamente le singole realtà che agiscono sul tema in analisi non potrebbero farlo con efficacia se non nella “dimensione” di nodo di una Rete di Enti e relazioni umane. Non si è mai autosufficienti o autoreferenziali, sopratutto riguardo a tematiche che – come quella inerente i perpetrators – legano tra loro differenti profili e saperi: tutti necessari, tutti importanti. Ogni nodo della Rete è – per il settore e/o azione di propria competenza – parte integrante verso il tentativo di proporre politiche integrate e risposte efficaci nei differenti territori nazionali. Anche in questo caso, a nostro parere, non si può prescindere dalle relazioni umane avviate, soprattutto con le donne impegnate sul tema del contrasto alla violenza domestica, e dalla profonda conoscenza del luogo in cui si intende operare. Ecco perché nutriamo alcune riserve sulle esperienze di tipo quasi “affiliativo” di alcuni Centri per uomini maltrattanti: non si può costruire un servizio territoriale integrato usando un “franchisor” come “fornitore di know-how”, senza avere relazioni con gli attor* del territorio. Ogni Rete ha una storia a sé e sarà regolata da protocolli di tipo “sartoriale”, sulla base delle effettive esigenze e possibilità del singolo contesto. Essere Rete, a nostro avviso, significa collaborare con partner differenti e non solo con soggetti di identica matrice. Talvolta può essere produttivo – sia per l’utente che per la società civile – avere la possibilità di scegliere a quale modello far riferimento, a quale background culturale aderire, a quale tipo di Rete affidarsi, secondo i propri bisogni, sensibilità ed aspirazioni. Oltre ai legami con Enti istituzionali del settore, quali Forze dell’Ordine, Magistratura e Tribunali, UEPE, Comune, ASL etc., ci pare il caso di soffermarci in questa sede sulla essenziale relazione tra i Centri per uomini autori di violenza di genere ed i Centri Antiviolenza femminili.
La nostra visione, infatti, non può prescindere da questa virtuosa relazione di Rete – come ad esempio quella con la Rete Antiviolenza Città di Livorno, formalizzata ed operativa – essendo noi nati dalla “costola” dell’associazione Ippogrifo, Centro Antiviolenza ed Ente Responsabile del Centro Donna del Comune di Livorno. Una relazione prima di tutto umana e poi politica. Una relazione che fa perno sull’esperienza del femminismo, senza “invasioni di campo” ma che serva a costituire luoghi, Reti, dove operare sinergicamente sulle medesime tematiche, seppur in ambienti fisici diversi e con operator* ed utenti differenti. Operare sinergicamente con le donne, ognuno per il proprio profilo di competenza, rende più proficuo il lavoro sulle due facce della stessa medaglia. Siamo convinti che l’auspicabile superamento della cultura che non mette in discussione la logica delle violenze ed i soprusi contro le donne (e, più in generale, contro gli oppressi) potrà avvenire solo se ci sarà sincronia nelle azioni di genere maschili e femminili. In questo dogma ci sentiamo confortortati e sostenuti da una legislazione internazionale che, finalmente, ha recepito le migliori prassi, diritti e raccomandazioni. Adesso – dopo la formale ratifica italiana della Convenzione di Istanbul – non resta che attuare al massimo tali precetti e statuizioni.
I Programmi di carattere preventivo e di trattamento per uomini che hanno agito violenza di genere non sono altro che un ulteriore strumento di prevenzione e fronteggiamento della violenza di genere da attuare nel qui e ora, senza alcun margine di strumentalizzazione circa presunti intenti differenti dall’unico ed unitario obiettivo di combattere ed abbattere i comportamenti violenti degli uomini verso tutte le donne.
OLTRE LA VIOLENZA
Riprendendo la metafora iniziale della Matrioska, potremmo dire che ci stiamo accingendo a parlare della “bambola” più grande, quella esterna, quella che riguarda il contesto sociale e la comunità di riferimento. Lavorare oltre la violenza, per noi, significa non relegare il contrasto alla violenza ad azioni di solo sostegno tecnico-operativo, come per esempio i Programmi per uomini maltrattanti. Significa anche adottare pratiche che producano saperi sul fenomeno in parola, allargando l’ottica del “Ciclo della violenza” alla profonda comprensione delle sue dinamiche e delle sue fonti. In buona sostanza, si tratta di operare arando e seminando un terreno politico maschile di cambiamento, affinché i maltrattanti di oggi siano “contadini” di cambiamento del domani. Soprattutto intra-genere e nelle generazioni di novelli uomini e possibili futuri padri. Ci sembra rilevante che la violenza non venga “scorporata” dal contesto culturale ma, anzi, che quest’ultimo risulti il principale fattore che rende legittimi gli agiti violenti agli occhi di chi sceglie di porli in essere. Esiste una necessità di formulare nuove ipotesi di relazione tra i sessi a partire da un percorso politico maschile che guardi con occhi rinnovati la società contemporanea. C’è la necessità di muovere passi di libertà dai modelli stereotipati di “Uomini e Donne” che sono veicolati dai media. Bisogna prendere atto della necessità di mantenere aperti i campi della ricerca sui temi che ci interessano. Dovremmo far sì che il lavoro “oltre la violenza”, in tutte le sue forme e testimonianze, sia utile a far individuare e nominare agli uomini le emozioni provate, le resistenze non-dette, le aspettative tradite fino alle connivenze implicite ed ai modelli culturali non rispettati, che tanto influiscono sulla buona o cattiva riuscita di una relazione umana.
Appare importante, infine, dar rilievo a tutte quelle realtà – forse minoritarie – in cui l’impulso al cambiamento nasce all’interno del genere maschile, senza nulla togliere alle altre esperienze. Luoghi maschili dove si opera anche “al di là” dei singoli Programmi rivolti agli uomini autori di violenza. Spazi maschili dove si dà valore alla relazione come pratica politica centrale, dove l’utente possa orientarsi e trovare rudimenti per formulare proprie risposte, poli di riferimento per le istanze maschili più generali, in cui questi uomini possano diventare potenziali promotori di cambiamenti culturali a livello comunitario, oltre che personale.
(Avv. Gabriele Lessi e Dott. Jacopo Piampiani)
– Di seguito l’invito all’evento in cui è stato letto il nostro testo:
Incontro nazionale a cura della rete Maschile Plurale
Invito aperto a tutte e tutti
Attraversare la violenza maschile.
Esperienze, approcci e politiche nel lavoro con uomini che agiscono violenza
Roma, Venerdì 19 maggio 2017
ore 10-13,30
Spazio culturale-polifunzionale MOBY DICK, via Edgardo Ferrati,3 (Metro Garbatella)
ore 14,30-17
Spazio Coworking Millepiani, Via Nicolo Odero, 13 (Metro Garbatella)
Hanno segnalato la loro partecipazione operatrici dei centri antiviolenza e operatori/trici dei centri per autori di violenza, ricercatrici/tori, persone impegnate nelle associazioni e nei movimenti di contrasto della violenza.
La giornata prevede un’introduzione a cura di Stefano Ciccone, diMaschile Plurale, per una riflessione sulle implicazioni politiche, culturali e sugli aspetti controversi del lavoro con uomini che agiscono violenza.
Seguiranno le presentazioni brevi di due ricerche: una a cura di Alessandra Bozzoli e Maria Merelli dell’Associazione “LeNove” con i nuovi dati della ricerca “Il lato oscuro degli uomini” sulle diverse esperienze di centri impegnati nel nostro paese; un’altra coordinata da Marco Deriu sulle percezioni del proprio cambiamento da parte di uomini autori di violenza che hanno concluso il percorso di trattamento presso il Centro LDV (Liberiamoci dalla Violenza) promosso dall’Azienda USL di Modena.
Seguiranno contributi alla discussione, a partire da ciò che emerge nelle esperienze sviluppate in questi anni, tra cui quelli di Alessandra Pauncz (Rete di centri RELIVE), Domenico Matarozzo (Maschile plurale, Cerchio degli uomini Torino), Gabriele Lessi (Maschile Plurale, LUI Livorno Uomini Insieme), Anna Costanza Baldry (Differenza Donna), Andrea Bernetti (CAM Roma) e molti altri.
Ci confronteremo con l’esperienza dei Centri Antiviolenza e delle associazioni del femminismo il cui punto di vista, tra le altre, sarà proposto da Oria Gargano (Be Free), Vittoria Tola (UDI Nazionale), Lella Palladino (DIRe – Donne In Rete contro la violenza).
Alessio Miceli e Alberto Leiss (Maschile Plurale), porteranno una riflessione sul nesso tra questi interventi e l’impegno più generale di contrasto alla violenza e di cambiamento maschile.
Interverranno inoltre rappresentanti delle istituzioni e in particolare Marta Bonafoni, Consigliera della Regione Lazio, e Giovanna Boda, Capo Dipartimento presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il dibattito sarà ovviamente aperto a tutte e tutti i partecipanti e sarà reso disponibile in diretta facebook.